Gestire le emozioni, il 7° pilastro per un cervello efficiente
Proviamo a chiudere gli occhi e a concentrare la nostra attenzione sul movimento del corpo che si accompagna al respiro. Quali sensazioni arrivano alla nostra consapevolezza?
Potremmo percepire la temperatura dell’aria che entra ed esce dalle narici ed il gonfiarsi e sgonfiarsi della cassa toracica.
Ma che nome daremo a questo insieme di segnali fisici e propriocettivi?
Potremmo, ad esempio, descriverli come uno stato di calma, gratitudine, serenità, cioè attribuiamo alle sensazioni corporee un’etichetta che definisce un’emozione, vale a dire un’energia in movimento (“emozione” deriva dall’inglese “emotion”, parola composta da ‘e’ = energia, unito a ‘motion’ = movimento).
Per essere tale, un movimento presuppone una direzione, un passaggio da un luogo ad un altro, da uno stato ad uno differente. Questo vale anche per le nostre emozioni che rappresentano un importante segnale in grado di funzionare come un termometro, in questo caso regolato lungo le dimensioni del benessere/malessere sperimentato dalla persona.
Ciascuno di noi, infatti, ha quello che il Prof. Giorgio Rezzonico definisce “repertorio emotivo” costituito dalle etichette che abbiamo a disposizione per nominare diverse emozioni in risposta alle esperienze vissute.
Quando parliamo di emozioni è perciò fondamentale riconoscerne tre caratteristiche:
- la soggettività, perché dipendono dal soggetto che le sperimenta;
- la situazionalità, in quanto vengono sperimentate durante un preciso periodo e luogo e
- la liceità ovvero la caratteristica fortemente personale dell’esperienza, per cui non si possono distinguere emozioni giuste o sbagliate, piuttosto ciascun vissuto deve essere letto alla luce dell’interpretazione personale del soggetto che la vive.
Ecco perché, per favorire il benessere mentale, diventa importante acquisire e sviluppare consapevolezza circa le proprie percezioni, imparare ad attribuire etichette funzionali che consentano di comprendere e utilizzare l’informazione emotiva nonché regolarne l’espressione.
Come si può fare?
Spesso si pensa che per stare meglio si debba “eliminare” qualcosa di sé (modi di pensare, di agire o addirittura di provare emozioni) sulla base di un giudizio assoluto (es. “è sbagliato arrabbiarsi, sono una persona aggressiva e non dovrei essere così”).
Piuttosto, è meglio valorizzare il significato personale di una certa esperienza (es. “in quell’occasione ho provato rabbia e ho manifestato un atteggiamento aggressivo che mi ha ostacolato nel raggiungere l’obiettivo che mi ero prefissato”) e integrare i propri schemi di pensiero e d’azione con chiavi di lettura alternative.
Per approfondimenti: 7° capitolo del libro “I 10 pilastri per un cervello efficiente” edito da Franco Angeli.
Dott.ssa Nicoletta Porcu - psicologa, psicoterapeuta e Brain Trainer Assomensana a Lodi e Piacenza
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11/09/2022 11:04:19