E’ utile imparare le poesie a memoria?
Chi ricorda qualche verso di una poesia a memoria?
Quanta fatica si è fatta per apprenderli?
E quanta soddisfazione proviamo quando ne rievochiamo alcuni versi con tono solenne?
Dopo secoli in cui si imparavano versi su versi, da qualche decennio frotte di specialisti avanguardisti, paladini del ‘buonismo scolastico’ invocano l’abolizione dalle scuole della funesta pratica di memorizzare le poesie, al fine di ‘non traumatizzare’ le giovani menti con pratiche che richiedono sforzo e fatica (in realtà, le giovani menti sono capacità di ben più ardue ed eroiche sfide cognitive).
Cosa fare, dunque, di fronte a questo conflitto tra l’antico che non arretra e il nuovo che avanza?
Premettiamo che memorizzare una poesia comporta un investimento cognitivo e fisiologico imponente, poiché richiede di organizzare e memorizzare le singole parole in una sequenza precisa, ripeterle come un mantra per consolidarne il ricordo, consumare notevoli quantità di energia che il cervello esige per affrontare tale sforzo cognitivo. Queste considerazioni sono reinterpretate in modo diverso tra i sostenitori delle due fazioni ‘memorizzare’ versus ‘non memorizzare’.
Da una parte ci sono i ‘contrari’ che temono il rischio che la memorizzazione sacrifichi l’analisi semantica della poesia stessa, che viene appresa senza quasi capirne il senso. A parte questo, che avrebbe senso, purtroppo la
remora risiede nel timore che lo studente potrebbe frustrarsi se non riuscisse a memorizzare il testo, oltre a dover trascorrere molto tempo a fare un compito che non darebbe un risultato apparentemente premiante.
Sul versante opposto c’è chi, come lo scrivente, sostiene che l’investimento offerto alla memorizzazione ricompensi l’alunno, ora e in futuro, di tanto sforzo.
Le abilità mentali sottoposte ad esercizio incrementano le capacità stesse, al pari dei muscoli allenati in palestra. Più ci si impegna ad incrementare lo sforzo per sollevare un peso, più aumenta la capacità di sollevarne di più pesanti.
Da questi risultati ottenuti con impegno e tenacia nasce la sensazione di arricchimento e di autoefficacia, compiacendosi di saper recitare versi a memoria.
Ciò genera un circolo virtuoso.
Ogni volta che si raggiunge un traguardo, si è fiduciosi di poter arrivare a quello successivo. Se non si conoscono i propri limiti attraverso lo sforzo e la sana frustrazione, si tenderà inevitabilmente a regredire e ad impoverirsi.
Se devo scegliere tra la comodità di non sforzarmi e la fatica di doverlo fare, personalmente non ho dubbi.
Prof. Giuseppe Alfredo Iannoccari - neuropsicologo, presidente di Assomensana, docente all'Università di Milano
24/03/2024 10:01:34